Chernobyl. Il disastro perenne

Quella di Chernobyl è una pagina della storia ancora poco conosciuta, fatta di gravi mancanze e, allo stesso tempo, di incredibili atti d’eroismo. Soprattutto, la storia di Chernobyl è una storia senza conclusione, con la quale dobbiamo imparare a convivere.

Atomgrad, la città dell’atomo

Nel 1970 l’ingegnere Brjuchanov raggiunse Chernobyl, nel nord della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, con l’incarico di costruire la città di Pripyat (dal nome del fiume che scorre nei pressi) e la centrale nucleare a fissione Vladimir Il’ič Lenin di Černobyl’ . Destinato ad accogliere i lavoratori della centrale, l’insediamento di Pripyat era stato pensato alla stregua di una città ideale, dove l’energia dell’atomo avrebbe rappresentato il futuro dell’intera Unione Sovietica.

La costruzione della centrale terminò ufficialmente nel 1983 (sebbene, in realtà, mancasse ancora un test di sicurezza). Nel 1986, la centrale contava quattro reattori in funzione, ma due nuovi erano già stati ordinati nel 1981. Il successo venne però pagato con una scarsa qualità dei materiali e numerose falsificazioni di documenti, resesi necessarie per rispettare i tempi irrealistici imposti dal Partito.

26 aprile 1986

Malgrado l’entrata in attività, alla centrale mancava – come già accennato – ancora un test di sicurezza per accertare il perfetto funzionamento del reattore n°4 in caso di emergenza. Più volte rimandato, fu infine programmato per il pomeriggio del 25 aprile 1986, ma la richiesta di elettricità da parte della capitale Kiev lo fece posticipare per la notte seguente. Al posto del personale che avrebbe dovuto procedere al test subentrarono gli operatori del turno di notte. L’unico a rimanere fu il vice ingegnere capo Djatlov, intenzionato a supervisionare l’esperimento personalmente sia per soddisfare i propri superiori (e progredire nella gerarchia della centrale), sia per la fiducia che riponeva nella tecnologia del reattore e nella propria conoscenza di quest’ultima.

La gestione spregiudicata della potenza del reattore durante il test, l’impreparazione del personale, alcuni malfunzionamenti del sistema e gravi errori di progettazione e costruzione noti solo a pochi portarono, alle ore 01:23, a una prima esplosione che distrusse la struttura all’interno del nucleo e le condutture ad esso collegate. Pochi secondi dopo, una seconda, dovuta alla pressione all’interno del reattore ormai fuori controllo, scagliò in aria la piastra di 2.000 tonnellate che faceva da coperchio, lasciando scoperto il nucleo e proiettando nell’atmosfera decine di tonnellate di materiale radioattivo.

La gestione del disastro

La fusione del nocciolo all’interno di un reattore non era considerata un’eventualità realistica, e questa idea contribuì certamente a rallentare le dovute contromisure.
I primi a raggiungere la centrale furono i vigili del fuoco, chiamati per domare l’incendio derivato dall’esplosione. Privi di attrezzature di protezione contro le radiazioni (ma si può affermare con una certa sicurezza che sarebbero risultate inefficaci a una concentrazione tanto massiccia), questi uomini erano sprovvisti anche di qualsiasi nozione sulla radioattività e le sue conseguenze. I vertici di Pripyat predisposero blocchi stradali, ma anche i poliziotti erano privi di equipaggiamenti di protezione contro le radiazioni.

Per verificare sul campo la situazione, venne infine costituito un comitato. A capo del comitato fu posto Valerij Legasov, primo vicedirettore dell’Istituto Kurčatov di Energia Atomica a Mosca e uomo molto stimato nella comunità scientifica sovietica. Arrivato sul posto il 26 aprile e resosi conto della reale entità del disastro, insistette subito sulla necessità di evacuare il prima possibile la popolazione.

Per assorbire i neutroni e arrestarne l’emissione nell’atmosfera, più di un migliaio di elicotteri volò a turno vicino al reattore, rovesciando diverse tonnellate di vari materiali come boro e sabbia (molti dei quali andarono sprecati per l’impossibilità di sorvolare direttamente il reattore). Questi però finirono anche per aumentare il surriscaldamento del nucleo già fuso, col pericolo di infiltrazioni in grado di raggiungere il fiume Pripyat. Dopo essere riusciti a svuotare dall’acqua radioattiva la centrale, i minatori cominciarono dunque a scavare ininterrottamente sotto di essa per permettere la creazione di una lastra in calcestruzzo dotata di un impianto di raffreddamento.
Negli anni seguenti, centinaia di migliaia di addetti (successivamente noti come “liquidatori”) furono reclutati per rimuovere i detriti su ciò che era rimasto del tetto del reattore e bonificare l’area circostante. Venne inoltre iniziata la costruzione di un “sarcofago”, una struttura in grado di contenere il reattore e resistere per almeno una trentina d’anni.

La nube

La nube che si innalzò dalla centrale era un concentrato di sostanze estremamente dannose per gli esseri viventi.
Inizialmente le correnti sospinsero la nube verso nord, contaminando gravemente la Bielorussia e proseguendo verso Lituania, Lettonia ed Estonia. Raggiunse la Svezia e la Finlandia, per poi investire Polonia, Germania, Danimarca, Paesi Bassi e Regno Unito. Infine i venti la spinsero a sud. Tra i paesi colpiti: Cecoslovacchia, Ungheria, Austria, Jugoslavia e Italia. Una variabile determinante fu costituita delle precipitazioni: laddove si verificarono, la contaminazione del terreno fu ancora maggiore.

Se ci si sofferma sulle misurazioni effettuate nei territori più vicini alla centrale, si nota che gran parte dei terreni più pesantemente contaminati non appartengono all’Ucraina, bensì alla confinante Bielorussia, e molti di questi sono al di fuori della Zona di Esclusione. Risulta infatti che la contaminazione abbia interessato il 25% dei terreni e il 35% della popolazione, contro il 7% del territorio e della popolazione ucraini. Anche il territorio della Russia occidentale fu gravemente colpito: la contaminazione si estendeva per 60.000 chilometri quadrati.

Il nuovo sarcofago

Nel 2016, con un’operazione di scorrimento su enormi binari, il nuovo sarcofago è stato disposto a copertura del vecchio, ormai logorato dalle radiazioni e dalle intemperie. Il New Safe Confinement (NSC) è una struttura a forma di arco, larga 275 e alta 108 metri, di 25.000 tonnellate. Il finanziamento della sua costruzione – 1,5 miliardi di euro – è attribuibile al Bers (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo), che si è avvalso di considerevoli contributi da parte dei paesi europei. Dentro la struttura si sta lentamente procedendo allo smantellamento del reattore n°4. Tuttavia, non è di facile soluzione il problema del trattamento del nucleo fuso, chiamato corium, al momento inavvicinabile.

A te, fra 20.000 anni

Le radiazioni nella Zona di Esclusione non si esauriranno che tra 20.000 anni circa, rendendo quindi l’area inabitabile per gli esseri umani. Ma Chernobyl non è e non può essere solo il ricordo sbiadito di una superpotenza disgregata. Il disastro di Chernobyl è una ferita che accompagnerà il genere umano per generazioni e generazioni, in tempi di pace e in tempi di guerra. L’invasione russa dell’Ucraina ha esposto un considerevole numero di soldati alle radiazioni ancora presenti nella Zona di Esclusione, e la delicatissima situazione della grande centrale di Zaporizhzhia ci mostra quanto poco abbiamo imparato dal passato.

Veniamo ora alla selezione di opere:

Libri

Preghiera per Cernobyl’. Cronaca del futuro di Svetlana Aleksievic (Edizioni e/o)

«Questo libro non parla di Černobyl’ in quanto tale, ma del suo mondo. Proprio di ciò che conosciamo meno. O quasi per niente. A interessarmi non era l’avvenimento in sé, vale a dire cosa era successo e per colpa di chi, bensì le impressioni, i sentimenti delle persone che hanno toccato con mano l’ignoto. Il mistero. Černobyl’ è un mistero che dobbiamo ancora risolvere… Questa è la ricostruzione non degli avvenimenti, ma dei sentimenti. Per tre anni ho viaggiato e fatto domande a persone di professioni, destini, generazioni e temperamenti diversi. Credenti e atei. Contadini e intellettuali. Černobyl’ è il principale contenuto del loro mondo. Esso ha avvelenato ogni cosa che hanno dentro, e anche attorno, e non solo l’acqua e la terra. Tutto il loro tempo. Questi uomini e queste donne sono stati i primi a vedere ciò che noi possiamo soltanto supporre… Più di una volta ho avuto l’impressione che in realtà io stessi annotando il futuro».

A mio parere una lettura imprescindibile che difficilmente vi lascerà indifferenti. Si tratta di una raccolta di testimonianze davvero toccanti. Chi ha apprezzato la serie tv vi ritroverà la terribile storia di Lyudmila Ignatenko, ma non solo.

Chernobyl. Storia di una catastrofe nucleare di Serhii Plokhy (Rizzoli)

“Il 26 aprile 1986 l’Europa ha assistito a uno dei suoi peggiori incubi: l’esplosione di un reattore nella centrale nucleare di Chernobyl, nell’Ucraina sovietica, che ha contaminato più della metà del continente e ha messo il mondo davanti al rischio dell’annientamento. In Chernobyl, Serhii Plokhy, rinomato storico e scrittore di origine ucraina, ricrea questi eventi, minuto per minuto, in tutto il loro dramma, raccontando le storie dei pompieri, scienziati, operai e soldati che si trovarono intrappolati nell’Armageddon nucleare e riuscirono a fare ciò che apparentemente era impossibile: estinguere l’inferno e mettere il reattore a “dormire”. Basato su documenti dell’epoca – molti dei quali inediti e molti riservati -, e sulla testimonianza diretta di chi c’era, il libro è un resoconto del dramma di eroi, carnefici e vittime, ma anche un’analisi impietosa della superpotenza sovietica. Un colosso che, pochi anni dopo, sarebbe drammaticamente collassato, distrutto dall’interno dal suo disfunzionale sistema politico e gestionale che il disastro di Chernobyl ha contribuito a mettere a nudo“.

Libro molto interessante che non racconta solo del disastro, ma offre anche un quadro del contesto storico in cui è avvenuto e dell’influenza che ha avuto sul movimento ecologista locale e sulla successiva nascita dello stato ucraino.

Mezzanotte a Cernobyl’. La storia mai raccontata del più grande disastro nucleare del XX secolo di Adam Higginbothan (Mondadori)

Nella primavera del 1986 Cernobyl’ era, “ufficialmente”, una delle centrali nucleari meglio funzionanti dell’Unione Sovietica. Eppure, il 26 aprile il reattore n. 4 viene sventrato da un’esplosione catastrofica, scatenando il peggior disastro nucleare della Storia. Da oltre trent’anni lo spettro di Cernobyl’ vive nell’immaginario collettivo, insieme al mistero su quanto realmente accaduto quella notte. Fin dal principio, infatti, la verità è stata nascosta dietro il velo della segretezza, della propaganda e della disinformazione, e l’intera responsabilità è stata a lungo attribuita all’imperizia e all’inettitudine degli operatori in servizio. Oggi Adam Higginbotham presenta una verità diversa. Basandosi su centinaia di ore di interviste condotte nel corso di più di un decennio, su lettere, memorie inedite e documenti d’archivio recentemente desecretati, l’autore disegna il ritratto di quella colossale tragedia attraverso gli occhi di chi l’ha vissuta in prima persona, e svela come il fiore all’occhiello dell’ingegneria nucleare sovietica fosse in realtà una struttura viziata da palesi carenze di progettazione e superficialità. Ma soprattutto non dimentica di dare voce a tutti gli uomini e le donne che hanno dimostrato straordinario ingegno e spirito di sacrificio nel tentativo di contenere una calamità che minacciava di assumere una portata mondiale.

Un volume che fa chiarezza sulla nascita e sullo stato della centrale prima dell’incidente e mostra il continuo accavallarsi nel tempo di errori e mancanze.

Serie TV

Chernobyl (2019)

Devo confessare che – immaginandomi chissà quale obbrobrio – quando seppi della sua realizzazione non fui molto contenta, ma per fortuna ho dovuto ricredermi, ed ora non posso che consigliarne caldamente la visione. Si tratta di una miniserie di cinque episodi di eccezionale qualità, vincitrice di Emmy, Golden Globe e Grammy, con un cast azzeccatissimo e sequenze memorabili. Meriterebbe un articolo a parte (e forse lo avrà, ci sto pensando) anche solo per il gran numero di dettagli significativi che possono sfuggire a chi non conosce bene i fatti narrati.

Videogiochi

Strano rapporto quello che Chernobyl ha con l’universo videoludico. La Zona di Esclusione è rappresentata con molta cura sia nello sparatutto in prima persona S.T.A.L.K.E.R.: Shadow of Chernobyl che nel survival horror Chernobylite. Quest’ultimo dovrebbe essere ancora abbastanza reperibile.

Il gioco S.T.A.L.K.E.R., sviluppato dalla software house ucraina GSC Game World, ha anche avuto due seguiti: S.T.A.L.K.E.R.: Clear Sky e S.T.A.L.K.E.R.: Call of Pripyat, e la sua influenza sulla cultura giovanile locale ha fatto sì che gli esploratori illegali della Zona si autodefiniscano ‘stalker’.

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